Ora lasciamo il palazzo del parlamento Italiano e dirigiamoci verso Via in Aquiro per giungere poi a Piazza Capranica; da qui si può prendere Via degli Orfani, la via più diretta per il Pantheon, e gustare un ottimo caffè in una tra le più conosciute torrefazioni romane.
Tuttavia vi consiglio di deviare un poco e rimandare per una manciata di minuti l’assaggio prelibato. Portandoci verso la chiesa di Santa Maria in Aquiro e costeggiando le sue mura verso sud troviamo uno stretto vicolo apparentemente privo di qualsiasi attrattiva. Ebbene lo strano nome di questo vicoletto la dice lunga sulla sua importanza, quantomeno folcloristica. “Vicolo della Spada d’Orlando”: è proprio questo il toponimo ufficiale di questa strettoia.Ma cos’ha a che fare un’arma così famosa con un insignificante collegamento viario? Prima di affrontare il quesito facciamo un passo indietro! (storico intendo… non fino al caffé!).
Orlando, per chi non lo conoscesse, è il personaggio principale del poema cavalleresco “L’Orlando furioso” scritto da Ludovico Ariosto tra il XVI e il XV secolo. È un paladino, ovvero uno dei cavalieri di Carlo Magno Re dei Franchi.
Le sue gesta lo vedono coinvolto in una moltitudine di avventure che affronta con la sua inseparabile spada, la Durlindana.
Ora addentriamoci nella viuzza… dopo un po’ di metri vedremo inglobato nella parete sinistra un grosso pietrone, una roccia informe che non ha nessun legame architettonico con l’edificio che lo include. In effetti esso è parte dei resti di un antico tempio romano che l’imperatore Adriano volle erigere a memoria di sua suocera, Salonia Matidia, per consacrarla e divinizzarla. (ʘ o ʘ).
Un atto davvero nobile e generoso si direbbe… tuttavia l’affettuoso genero aveva il suo buon tornaconto nel celebrare la madre di sua moglie. Matidia era infatti la nipote di Traiano, il precedente imperatore che lo adottò facendone il proprio successore. L’atto “generoso” quindi è un altisonante tributo all’esiguo legame familiare tra il vecchio e il nuovo imperatore. Con esso Adriano rafforzava la sua discendenza dinastica e parentale ribadendo la legittimità ad essere l’unico vero imperatore di Roma.
Ma torniamo a Orlando e la sua spada… secondo una leggenda popolare il paladino ormai soverchiato dai nemici nella disfatta di Roncisvalle (evento realmente accaduto ma alterato nella sua sostanza nei poemi epici postumi) assestò ad una pietra un gran colpo di spada nel disperato tentativo di frantumarne la lama e impedire ai saraceni di entrarne in possesso.
Questa del vicolo sarebbe proprio la medesima pietra, portata a Roma da Re Carlo (incoronato imperatore da Papa Leone III il 25 dicembre dell’anno 800 in San Pietro a Roma) o trasportata in loco da altri eventi misteriosi.
Ma vi sarebbe un’altra versione nella quale si racconta che Orlando, trovandosi nel rione Colonna, transitò nel vicolo dove fu avvicinato da una bella cortigiana. Questa tentò di sedurlo ma il cavaliere, forte della sua integrità morale, riconobbe in ella il demonio e, sguainando la spada, ne impose l’elsa a mo di croce tentando di scacciare il maligno dalla donna. Dalla poveretta uscì un orrendo demone che il paladino pensò bene di uccidere con un poderoso fendente, ma il gesto fu vano. Il maligno si dileguò e la Durlindana si conficcò nella roccia causandone la crepa che tutt’ora si vede passando per il vicolo.
Proseguiamo oltre e prendiamo Via dei Pastini verso destra, essa ci condurrà dritti a Piazza della Rotonda davanti al Pantheon; ma prima, come si era detto, godiamoci il buon espresso che vi avevo promesso presso la Casa del Caffè… buon assaggio!
Ci troviamo ora in Piazza della Rotonda che trae il suo nome dalla pianta circolare dell’antistante tempio romano; una strutture tra le più stupefacenti e meglio conservate dell’antica Roma, il Pantheon.
Anticamente fu un luogo sacro dedicato a tutte le divinità greco/romane, (Pan = tutto e Théon = Dio) ora, invece è una chiesa intitolata ai martiri cristiani “Santa Maria ad Martyres”.
Quest’opera magnifica risale al periodo adrianeo 118 – 125 d.C. tuttavia è successiva a una precedente struttura templare edificata da Marco Vipsanio Agrippa genero dell’imperatore Augusto nel 27 a.C. a celebrazione degli dei protettori della gens Jiulia (la famiglia di Giulio Cesare e, per adozione, anche dello stesso Augusto).
L’imperatore Adriano, riedificando il Pantheon, volle mantenere la memoria del precedente autore iscrivendola sull’architrave: M. AGRIPPA L. F. COS. TERTIUM FECIT per esteso “Marcus Agrippa Luci filius consul tertium fecit” da tradurre in “Marco Agrippa, figlio di Lucio, nell’anno del suo terzo consolato costruì”. Un altruismo tipico di questo grande imperatore (che evidentemente non celebra solo la suocera)…
La struttura è sostanzialmente progettata sulle tre forme geometriche elementari: il cerchio, il triangolo e il quadrato, reinterpretate anche nella loro versione tridimensionale. L’ambiente interno non è altro che un cilindro e una sfera inserite in un cubo. In sintesi una esaltazione della divina perfezione espressa materialmente dall’armonia geometrica e matematica.
Anche dal lato ingegneristico il Pantheon non ha uguali. Le soluzioni adottate per la sua edificazione e in particolare per la sua cupola ne fanno un esempio tecnologico ancora oggi studiato nelle università di tutto il mondo. Una meraviglia tra tutte è la cupola, che è di poco più ampia di quella rinascimentale della basilica di San Pietro. Fu costruita con una classica malta di calce e pozzolana impastata con materiali sempre più leggeri man mano che la volta converge al centro; intorno al vertice di essa infatti, si usò un impasto di pietra pomice (unico esempio in natura di pietra galleggiante) e per l’estremità superiore… il colpo di genio! Un grande foro circolare “L’oculus” che oltre ad essere una valida soluzione strutturale, fungeva da collegamento tra il mondo terreno e quello ultraterreno o divino. Varrebbe la pena dilungarsi ancora ma non è questa la sede per approfondire tali aspetti.
Vediamo ora gli eventi storici che hanno prodotto le leggende riguardanti i “Diavoli del Pantheon”.
Nell’anno 608 d.C. l’Imperatore bizantino Foca donò a Papa Bonifacio IV il maestoso tempio pagano. Questi pose termine alla vocazione politeista dell’edificio con la cerimonia di consacrazione all’unico vero Dio Cristiano. Il rito era volto a esorcizzare gli spiriti maligni che si credeva albergassero tra le sue antiche mura e a porre, nelle mani del Signore e della chiesa Cristiana, il destino del luogo sacro.
Ora si sa come particolari eventi storici restano impressi nella memoria della gente… a furia di parlarne, certe circostanze sfuggono dall’ordinaria quotidianità per ammantarsi di straordinarie fantasie.
Fatto sta che nella tradizione popolare si volle ricordare solo ciò che segue.
Durante l’esorcismo di Papa Bonifacio IV, quando le preghiere rituali riecheggiarono nell’ampia sala, e gli incensieri fumanti profusero le loro sacre esalazioni, tra le mura del Pantheon, ridde di demoni, sortirono da ogni dove. La mala farandola turbinando saliva, e vortici di fumo e fiamme faceva, con gran strepito e puzzo di zolfo. Il tutto si addensò sotto l’ampia volta trovando poi sfiato per il gran foro come palla di balista.
Questa è la mia modesta e personale cronaca (assai farcita) di un fatto che, nel suo sommo culmine emotivo, produsse forse qualche suora in estasi, due o tre comari lacrimanti e un chierico pentito…
I disegni che corredano questo articolo sono di Marco Sindici.