Al tempo in cui ero bambino, malgrado vivessimo i disagi e le tristezze della guerra, l’arrivo del Natale era sempre un momento molto atteso con gioia e non solo da noi scolaretti. Allora le Festività, oltre la ritualità propriamente religiosa, avevano al centro delle attenzioni l’allestimento del Presepe.
Il coinvolgimento delle famiglie era notevole, quasi una gara tra chi riusciva a farne uno più originale e suggestivo. Si destinavano ad esso grandi e centrali spazi della casa, molto di più di quelli che oggi si riservano all’albero di Natale, che ne ha preso il posto.Nella mia famiglia Paolo, il mio fratello più grande, era in grado di realizzare un ammirevole e originale presepe utilizzando il vano di circa quattro metri quadrati del sottoscala di casa.
Il soffitto degradante gli permetteva, una volta dipinto lo sfondo di azzurro e le stelle dorate, di realizzare un effetto prospettico di orizzonte in fuga. Sul ripiano di legno le casette e le statuine, da lui create utilizzando l’argilla che si raccoglieva nel fossato del Carrapone, avevano differenti dimensioni in modo da dare all’osservatore il senso di profondità spaziale mettendo più in fondo quelle più piccole.
L’habitat era rigorosamente quello orientale della terra di Palestina: costruzioni bianche con cupole per tetto, minareti con torri svettanti, squarci di deserto con dromedari e cammelli e tanti palmizi dentro cui erano collocate le statuine raffiguranti palestinesi con i loro vestiti variopinti.
Ogni pezzo era da lui dipinto finemente. Per la sua originalità venivano a visitarlo anche i vicini di casa a molti dei quali Paolo, allora studente all’Istituto d’arte di Roma, offriva in omaggio cartoncini dipinti con immagini collegate al Natale.
Per noi bambini l’aspettativa del dono natalizio era legata ai prodigi del Ciocco di Natale, anch’esso sostituito oggi da Babbo Natale. Secondo la tradizione, si usava che il più grosso tronco di legna da ardere di cui si disponeva venisse messo sul focolare a bruciare insieme agli altri, proprio per la notte della Vigilia.
In quel periodo di legna da ardere, per fortuna, non vi era carenza. Essa veniva tagliata e distribuita dal Comune di Monterotondo in quantità proporzionale alla composizione di ciascuna famiglia con un’assegnazione razionata chiamata “il paso”, che bisognava andare a ritirare con mezzi propri all’inizio dell’inverno presso la macchia di Gattaceca. Era la nostra salvezza dai rigori invernali.
Tutto il paese d’inverno era avvolto da questo intenso profumo di fumo da camino a legna, che ancora oggi si respira in alcuni paesi dell’alta Sabina. Noi pure un po’ di affumicato ce lo portavamo addosso.
Oltre al Ciocco, la sera della Vigilia si caratterizzava per il Cenone fatto soprattutto di grandi padellate di frittura (carciofi, patate, zucchine, broccoli e filetti di baccalà), servita dentro uno scolapasta foderato da carta da pane per assorbirne l’olio d’avanzo e coperto da uno straccio di cucina per mantenerne il caldo. Dopo ciò, veniva un’animata e gioiosa la tombola. Alla mezzanotte tutti i bambini a letto.
Al mattino ci si svegliava presto, io mi ritrovavo in braccio a mia madre, un po’ infreddolito – non si usavano i pigiami – e venivo portato a vedere cosa avesse “cacatuluCioccu” (sì, proprio questa era l’espressione dialettale usata, non molto fine, ma efficace).
Sotto il camino c’era sempre un giocattolo molto gradito, magari semplice, come trombetta, tamburino; agognato era un cavallo a dondolo, rarissimo. Comunque, i giocattoli del Ciocco erano i più apprezzati perché goduti durante tutte le vacanze e non come quelli della Befana alla fine.
Ricordo anche che i giocattoli più apprezzati me li costruiva mio fratello Paolo, con i pochi materiali a disposizione: il legno degli scarti di falegnameria, la latta dei recipienti vuoti delle vernici o dell’olio di lino cotto usati per il lavoro da papà.
Nel tinello, in compenso, gli arnesi da falegname c’erano tutti e, in particolare l’indispensabile morsa fissata al bancone.
Indelebile il ricordo di un’automobilina a pedali tutta colorata di rosso tipo Bugatti. Per non farmi troppo invidiare la facevo guidare ai miei compagni di gioco, che si svolgevano in mezzo alla strada, dove allora era quasi inesistente il traffico veicolare.